Benvenuti nella Terza Guerra Fredda. Ma stavolta non sappiamo nemmeno da che parte stare”

“Benvenuti nella Terza Guerra Fredda. Ma stavolta non sappiamo nemmeno da che parte stare”

di Luciano Di Gregorio

La settimana è stata, per usare un eufemismo, irrecuperabile. Non nel senso che ci sia stato un evento troppo grande da raccontare, ma perché ne sono accaduti troppi, troppo in fretta, troppo insieme. Una settimana in cui Trump ha dichiarato guerra al mondo intero, tranne alla Russia, e l’Europa – come un’anziana contessa decaduta – si è ritrovata nuda davanti allo specchio, balbettando “valori comuni” con la cipria ancora in mano.

Cosa è successo, davvero? È successo che l’asse atlantico si è rotto. Non si è incrinato. Non si è “teso”. Si è proprio spaccato. E nessuno, men che meno noi europei, sembra averne colto il suono. Siamo ancora lì a discutere se sia il caso di rispondere con controdazi, con parole, con scrollatine di testa.

Nel frattempo, gli Stati Uniti guidati da Trump hanno dichiarato il resto del mondo un problema. La Russia no. Putin no. Lui resta l’unico uomo con cui il nuovo imperatore americano non vuole litigare. Gli altri, tutti, sono sospetti. Soprattutto gli europei, visti come “parassiti ben vestiti”, da sedurre quando serve e umiliare sempre.


Il pasticcio dei dazi: la guerra più stupida del mondo

Trump ha rispolverato la logica dei dazi con la delicatezza di un elefante bendato in una cristalleria. Ma non sono nemmeno “dazi” nel senso tecnico del termine. No, ha reinventato un calcolo opaco, fumoso, che nessun economista prende sul serio, basato sul bilanciamento della bilancia commerciale come se fosse una bilancia da cucina.

Il suo Segretario del Tesoro, uno che sembra uscito da un romanzo distopico – tale Scott Pescett – dice: “50 paesi vogliono trattare con noi”. Che vuol dire? Che si apre una stagione di trattati bilaterali dove non si parlerà solo di economia, ma anche di migrazioni, confini, armi e influenza geopolitica.

Ma il punto è un altro: questa manovra serve solo a incassare. Gli USA sono gravemente indebitati. Il rischio per il dollaro è reale. I dati sono questi: un cittadino americano è mediamente tre volte più indebitato di un italiano. Eppure, guadagna di più. Il sogno americano è diventato un mutuo sulla disperazione.


Il capolavoro: colpire i propri cittadini

La grande bugia è che questi dazi “proteggano” l’americano medio. È il contrario. Se metti un dazio sul vino italiano e quel vino sale del 20%, chi lo paga? Il cittadino americano. Non lo compra più, o lo compra a un prezzo gonfiato. Lo stesso vale per tutto: meccanica, agroalimentare, moda, farmaceutica.

Alla fine, o il produttore straniero svende, o il consumatore americano sanguina. Tutto questo per cosa? Perché Trump vuole rilocalizzare le fabbriche. Ma per rilocalizzarle ci vogliono anni, soldi, e – piccolo dettaglio – lavoratori. Che non ci sono. Gli USA hanno la piena occupazione, e hanno anche chiuso le frontiere. È una guerra economica senza esercito.


L’Europa dei sottomessi (e dei ridicoli)

E noi? Noi abbiamo risposto, come al solito, con un convegno. Con qualche dichiarazione un po’ stanca, un po’ retorica. Alcuni, in Italia, ancora ci spiegano che “i dazi sono una grande opportunità”. Tipo il terremoto per le imprese edili. “Grazie signor Trump”, diranno presto. E faremo anche un film, come quello su Margaret Thatcher, ma con meno ironia e più bollette impazzite.

Ma quale Europa dovrebbe rispondere? Quella di Salvini? Di Orban? Di Macron? La verità è che non esiste un’Europa politica, ma solo un patchwork di interessi, slogan e alleanze occasionali. Siamo come i membri superstiti di una boyband degli anni ’90: ci guardiamo, sorridiamo, ma non possiamo più cantare in armonia.


Una rottura sentimentale

Ma il danno vero, quello più profondo, non è economico. È emotivo. È simbolico. È culturale. L’America che ci ha cresciuti – con i suoi film, i suoi libri, la sua musica, i suoi diritti – non esiste più. È un paese che chiude il Ministero dell’Istruzione, cancella i programmi sanitari, taglia la ricerca. È un paese che ti dà del “parassita” se credi nella cooperazione. E nessun dazio misurerà mai questo disincanto.

Questa non è più la solita guerra tra mercati. È una rottura affettiva, valoriale. È l’Occidente che smette di riconoscersi. Gli ex alleati si guardano in cagnesco. E da fuori – da Mosca, da Pechino – ci osservano e ridono. Perché quello che dovevano temere di più era che restassimo uniti. Ora siamo un piatto di porcellana frantumato.


Sovranismo: l’ideologia del più stupido

E il colpo finale? L’alleanza dei sovranisti. Come se un sovranista potesse allearsi con un altro. È una barzelletta che diventa tragedia. Il sovranismo è per definizione un’ideologia egoista, da “mio prima di tuo”. Ma in un mondo così, comanda solo il più grosso. Se ti allei con Trump, poi Trump ti calpesta. Perché per lui tu sei un satellite, non un alleato.

Lo diceva Troisi: “C’è sempre qualcuno più meridionale di te.” Parafrasando: c’è sempre un sovranista più grosso. E quello comanda. Gli altri obbediscono. O si illudono di contare.


La scena finale

Trump, Putin, e (presto) Xi Jinping si stanno sedendo a un nuovo tavolo globale. Non per discutere. Ma per spartire. E noi non siamo nemmeno tra gli invitati. L’Europa è assente, l’Italia è smarrita, e l’Occidente si è trasformato in una nostalgia.

Siamo entrati nella Terza Guerra Fredda, ma non abbiamo più le idee, né i valori, né i leader per combatterla. Abbiamo talk show, mercati nervosi e un’alleanza a pezzi. La nuova Yalta è cominciata. E questa volta, non c’è posto per noi.