
In questa opera in bianco e nero, corrosa e lirica, assistiamo a una potente fusione tra immagine e superficie, tra volto umano e parete consumata. L’opera, che sembra nascere da un processo misto di stampa, deterioramento e manipolazione materica, esprime un’intensità che va oltre la pura rappresentazione: qui la fotografia diventa pelle, traccia, ferita.
Il volto femminile, con gli occhi chiusi e le labbra leggermente dischiuse, appare immerso in uno stato di sospensione meditativa, quasi mistica. Eppure non siamo davanti a un semplice ritratto: il viso affiora dalla superficie come un’epifania fragile, parzialmente cancellata, aggredita da muffe visive, da scrostature e graffi che non nascondono ma rivelano. La materia stessa dell’immagine diventa parte del linguaggio espressivo.
Il supporto mostra segni evidenti di usura e deterioramento. L’effetto finale è quello di una memoria fotografica contaminata dal tempo, come se l’immagine fosse stata dimenticata in uno scantinato umido e solo ora riportata alla luce, senza restauri. I residui della parete – gocce, colature, macchie – si fondono con i tratti della ragazza, fino a far pensare che si tratti di una fusione tra carne e muro, tra identità e rovina.
L’opera interroga così il rapporto tra soggettività e oblio, tra presenza e cancellazione. Il volto della giovane non ci guarda: non si offre allo spettatore, ma si raccoglie in sé stesso. In questa chiusura silenziosa risiede una forza che si oppone allo sguardo dominante. È un rifiuto della visibilità, un gesto di difesa poetica.
La fotografia evoca anche i procedimenti del pittura informale e della materia astratta, così come le tecniche di fotografia sperimentale e decollage. Si potrebbe pensare a Mimmo Rotella o a Francis Bacon in chiave fotografica. Ma a differenza della violenza espressiva di quegli autori, qui tutto è racchiuso in una malinconia intima, in un velo di silenzio che si estende dalla figura allo sfondo.
In definitiva, l’opera ci parla dell’essere umano come traccia, come fragile apparizione destinata a svanire, ma proprio per questo ancora più preziosa.
In questa intensa immagine in bianco e nero, il volto di una giovane donna emerge come un’apparizione fragile da una superficie corrosa dal tempo. Macchie, colature e abrasioni non occultano l’immagine: la completano. L’opera, sospesa tra ritratto e decollage, trasforma la materia fotografica in pelle e memoria.
Con gli occhi chiusi, la figura si raccoglie in un silenzio interiore, sottraendosi allo sguardo. È un’immagine intima, segnata, che parla di assenza, vulnerabilità e persistenza. Tra pittura informale e fotografia sperimentale, questo lavoro sussurra che anche ciò che si dissolve, resiste.