venerdì, Maggio 9, 2025

Francesco: il Papa che ha fatto politica con il Vangelo pensando agli ultimi

Quando Jorge Mario Bergoglio si affacciò per la prima volta dalla loggia di San Pietro, la sera del 13 marzo 2013, disse con un sorriso disarmante che i suoi fratelli cardinali erano andati a prenderlo “quasi alla fine del mondo”. Un’espressione semplice, quasi ingenua, eppure potentemente politica. Perché con Francesco, il primo papa gesuita e il primo latinoamericano, la Chiesa cattolica è tornata al centro del discorso globale. E non solo spirituale.

La sua elezione è un evento inedito sotto ogni punto di vista. Avviene non dopo la morte del predecessore, ma dopo le storiche dimissioni di Benedetto XVI. Per la prima volta dopo secoli, due papi vivono insieme nel cuore del Vaticano. Una situazione senza precedenti, che dà immediatamente la misura di un pontificato destinato a rompere schemi.

Francesco eredita una Chiesa scossa da scandali, divisa, in crisi di vocazioni e credibilità. Ma anziché rifugiarsi nella prudenza diplomatica, imprime una direzione chiara: povertà, inclusione, pace. Il suo primo viaggio è a Lampedusa, simbolo delle tragedie migratorie nel Mediterraneo. Lì non pronuncia un discorso ecclesiale, ma un atto di accusa: “Ho sentito che dovevo venire qui a pregare, ma anche a risvegliare le coscienze”. Il Papa parla, ma soprattutto agisce da leader globale, usando la forza morale del suo ruolo per incidere sulla realtà.

Con lui, il Vaticano torna a essere un attore politico internazionale, ma con un linguaggio nuovo. La Laudato si’, la sua enciclica sul clima e l’ambiente, è un testo politico travestito da meditazione spirituale. La denuncia dell’economia dello scarto, della finanza speculativa, della distruzione della casa comune, lo avvicina più a Greta Thunberg che a certi vescovi conservatori. Non a caso, nei sacri palazzi cominciano a chiamarlo, con fastidio malcelato, “il papa comunista”.

La sua azione geopolitica è continua e scomoda. Parla contro la guerra, senza ambiguità. Denuncia i produttori di armi, le complicità dell’Occidente, la retorica bellicista. Sulla guerra in Ucraina rifiuta di schierarsi in modo binario. Viene criticato per non nominare la Russia come aggressore, ma ribadisce: “È più coraggioso chi alza la bandiera bianca”. Una frase che fa esplodere polemiche, ma che resta coerente con la sua visione evangelica del disarmo totale. Un pacifismo radicale, poco gradito alle cancellerie, ma instancabile.

Francesco parla ai migranti, agli esclusi, ai giovani, agli ecologisti, ai non credenti, più che a parte della sua stessa gerarchia. La sua figura sfugge alla definizione tradizionale di papa. È, piuttosto, un leader morale globale che entra nel dibattito culturale e politico con parole e gesti che scavalcano confini e dottrine.

E tuttavia, se l’impatto politico è evidente, la riforma interna della Chiesa resta incompiuta. Sui temi del celibato, delle donne, dell’omosessualità, dell’aborto, Francesco apre dibattiti, cambia il tono, ma non la sostanza. Le sue frasi, come “Chi sono io per giudicare?”, aprono spazi di comprensione, ma non si traducono in cambiamenti dottrinali concreti. È il limite e forse anche la misura del suo pontificato: riformista nel linguaggio, prudente nella struttura.

Negli ultimi anni, la salute lo mette alla prova. La scena simbolica della pandemia – la sua figura curva, sola, in una Piazza San Pietro deserta – lo consacra come guida spirituale del mondo nel buio. Poi i ricoveri, la voce affaticata, le dimissioni annunciate e il ritorno, come Benedetto, in Vaticano.

Il suo ultimo messaggio, a Pasqua, è l’ennesimo atto politico: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo.” Non una benedizione convenzionale, ma un monito alla comunità internazionale. In un mondo attraversato da nuove guerre, crisi climatiche, disuguaglianze crescenti, Francesco lascia la scena come l’ha vissuta: non da sovrano, ma da coscienza inquieta.

Con lui si chiude una stagione della Chiesa, ma soprattutto un ciclo del cattolicesimo come forza pubblica globale. Ora la domanda che resta è eminentemente politica: la Chiesa continuerà a essere voce di pace e giustizia, o tornerà a rifugiarsi nel silenzio delle sacrestie?

Francesco, venuto dalla fine del mondo, ha portato nel cuore di Roma la voce degli invisibili. E ha ricordato al potere – laico o ecclesiastico – che il Vangelo può ancora essere una bandiera.