Silviano Scardecchia
La fotografia come archivio di emozioni
Un incontro tra tecnica, poesia ed esperienza di vita
C’è chi definisce la fotografia come il semplice fermo-immagine di un istante, e chi invece la considera una finestra sull’anima del tempo. Silviano Scardecchia appartiene senza dubbio a questa seconda categoria: maestro della luce, “fotografo anarchico e nudo”, come ama definirsi, capace di trasformare ogni scatto in memoria viva e palpabile.
In occasione di un incontro curato da Luciano, la redazione di Artelogia.it ha avuto l’onore di consegnargli un premio speciale per il miglior reportage sulle emozioni. Un riconoscimento nato dall’impatto che le sue immagini hanno saputo suscitare: quel silenzio evocato, ad esempio, dal mare calmo all’alba, quando pochi passi sulla riva si confondono con l’eco del sole nascente.
Le radici di un’emozione
La conversazione si apre con un ricordo intenso: il padre di Scardecchia, prigioniero degli inglesi dopo l’armistizio di Badoglio, costretto a consegnare anche la sua macchina fotografica e i rullini che custodiva gelosamente.
«Non fu solo la prigionia a ferirlo – racconta Silviano – ma la perdita di quelle fotografie, un archivio di emozioni che rappresentavano la sua vita».
Da quell’episodio nasce la consapevolezza che una fotografia non è soltanto immagine: è tempo che si conserva, emozione che sopravvive.
Tra chimica e libertà creativa
Scardecchia si laurea in chimica organica, ma i suoi professori già lo percepivano come fotografo con l’hobby della chimica. In effetti, la curiosità scientifica diventa per lui un laboratorio di sperimentazione: notti trascorse a mescolare reagenti, a inventare processi di sviluppo alternativi, a giocare con la materia stessa della luce.
«Eravamo alchimisti della fotografia – ricorda – e questo mi ha insegnato la libertà: partire da una tecnica per esplorare e deviare, senza schemi».
Oggi, pur lavorando con il digitale, non rinuncia a questa dimensione materica. Le sue stampe prendono vita su carta 100% cotone Fabriano, dove la grana e la consistenza diventano parte integrante dell’opera, trasformando ogni immagine in un oggetto emozionale e unico.
L’innesco: dal padre alle motociclette
Se l’origine del suo percorso è legata al padre, un altro momento decisivo fu l’incidente in moto da ragazzo. Immobilizzato a letto, iniziò a leggere riviste di fotografia: parole come “diaframma”, “emulsione”, “ferrocianuro” diventarono linguaggio familiare. Da lì la passione per immortalare le motociclette in corsa, catturando la velocità in immagini cariche di energia.
Un fotografo “anarchico e nudo”
Alla domanda su come si definirebbe, Scardecchia risponde con un sorriso: «Un fotografo anarchico e nudo».
Anarchico perché libero da regole predefinite, sempre alla ricerca di nuove vie, e nudo perché autentico, spoglio di sovrastrutture.
Sua moglie, scherza, ancora non ha ben compreso cosa abbia fatto nella vita. Forse proprio lì risiede l’essenza: l’arte come percorso in continua trasformazione, mai chiuso in un’etichetta.
Conclusione
L’incontro con Silviano Scardecchia non è stata una semplice intervista, ma un viaggio nelle pieghe della memoria e della materia fotografica. Il pubblico lo ha ascoltato senza annoiarsi, affascinato dalle sue parole e dai suoi racconti, tra esperienze personali, riflessioni filosofiche e tecniche di laboratorio.
In un’epoca dominata dall’istantaneità digitale, il suo approccio ci ricorda che una fotografia non è mai soltanto immagine: è vita impressa nella carta, è tempo che sopravvive, è emozione che ritorna.