IL PUNTO

Saviano: “I dazi di Trump? Un regalo alla criminalità organizzata” di Luciano Di Gregorio

 

In un momento in cui i mercati finanziari vacillano – e la Borsa di Milano registra un tonfo del 6,5%, uno dei peggiori in Europa – le dichiarazioni di Donald Trump suonano più provocatorie che rassicuranti. L’ex Presidente americano, fautore di una politica economica iper-protezionista, ha ribadito che non cambierà mai la sua posizione sui dazi, anzi: ha affermato che “questo è un momento straordinario per diventare ricchi come mai prima d’ora”.

Ma chi può davvero arricchirsi in un contesto simile?

Secondo Roberto Saviano, non c’è dubbio: le organizzazioni criminali.

Durante un intervento pubblico, lo scrittore ha tracciato un quadro lucido – e inquietante – di quello che si nasconde dietro le barriere doganali volute da Trump. Secondo Saviano, i dazi non rappresentano un reale ostacolo per le grandi imprese, che troveranno modi creativi (e spesso illegali) per aggirarli. Chi ne trarrà maggior vantaggio saranno invece i contrabbandieri, i cartelli e i gruppi criminali transnazionali, pronti a sfruttare ogni crepa del sistema.

“Trump ha una cultura mafiosa,” ha dichiarato Saviano. “La sua storia imprenditoriale è legata alla famiglia Gambino, una delle storiche famiglie di Cosa Nostra a New York. Ragiona come un boss: minaccia, estorce, impone la sua volontà come metodo di potere. Lo abbiamo visto anche nei rapporti con Zelensky: non serve un’azione diretta, basta l’ambiguità, la pressione implicita.”

L’economia dell’illegalità come piano B del capitalismo

Secondo Saviano, l’imposizione dei dazi genera immediatamente un mercato parallelo, dove le merci continuano a fluire, ma attraverso canali illeciti. Ad esempio, il tessile cinese potrebbe essere “mascherato” come prodotto messicano, colombiano o peruviano. Oppure semplicemente introdotto via contrabbando, con dichiarazioni di valore falsificate per ridurre le tariffe.

“Trump sa benissimo che ciò di cui il mercato americano ha bisogno a basso costo entrerà comunque. Le aziende troveranno la strada. A lui interessa solo la minaccia, la leva intimidatoria, sapendo che poi l’economia troverà il modo di adattarsi.”

Nel frattempo, nei porti messicani, container sospetti ricominciano a muoversi, e non trasportano solo droga: vestiti, beni di largo consumo, merce apparentemente innocua, ma strategica per aggirare le nuove barriere.

Chi perde davvero?

A pagare il prezzo di queste manovre non saranno i grandi capitali, ma gli imprenditori onesti, le persone comuni, i consumatori. In altre parole, chi non ha accesso a scorciatoie illegali.

È il trionfo di un sistema in cui “i deboli seguono la legge, mentre i forti seguono le regole”. Le leggi impongono dazi; le regole, dettate dal profitto e dalla criminalità organizzata, li aggirano.

Saviano, come spesso accade nei suoi interventi, mette in luce il “lato B” dell’economia globale, quella zona grigia in cui l’illegalità non è un incidente, ma un componente strutturale del sistema stesso.

Capitalismo criminale o capitalismo sano?

La domanda che rimane sospesa, quasi retorica, è se esista ancora qualcosa che si possa definire “capitalismo sano”.

Nell’attuale scenario, la risposta sembra sempre più sfuggente.